Siamo nell'Italia del primissimo dopoguerra, per la precisione nel 1946, nei giorni precedenti al voto tra Repubblica e Monarchia, primo suffragio universale del nostro paese. In un bianco e nero che ricorda i film del Neorealismo (la fotografia è di Davide Leone) capiamo subito che la vita di questa donna non è semplice: oltre a curare casa e prole fa tre lavori diversi. Nonostante il suo impegno quotidiano, niente sembra sufficiente per il marito Ivano. Un Valerio Mastandrea che raramente abbiamo visto così cattivo sul grande schermo. L'uomo la umilia, la svaluta. E soprattutto la mena, come si dice a Roma. Tanto. A ogni minimo cambiamento d'umore. Perfino la mattina appena svegli.
Nonostante tutto, Delia lavora a testa bassa, per i tre figli, in particolare la maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano, una rivelazione). La ragazza vorrebbe studiare, ma il padre invece pensa soltanto a farla sposare bene, in modo da togliersi di torno una bocca in più da sfamare. E magari guadagnarci pure. Sì perché in questa casa, oltre ai genitori e ai tre ragazzi, c'è anche il nonno Ottorino (Giorgio Colangeli): sentendolo parlare si capisce immediatamente da dove provenga la violenza di Ivano, che picchia la moglie anche perché odia profondamente se stesso e quindi ha bisogno di qualcuno da far sentire peggiore. L'uomo non è il solo a prendersela con Delia: anche la figlia la insulta, le dice che non vale niente, che è debole perché non reagisce. In realtà rivede in lei se stessa, il suo futuro.
Paola Cortellesi quest'anno compie 50 anni, eppure ha scritto (insieme agli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda), diretto e interpretato un film pieno di "rabbia giovane". Questo perché la rabbia delle donne non ha tempo: in un mondo fatto su misura per gli uomini, rientrare nel genere considerato "minore" è un peccato originale con cui bisogna fare i conti ogni giorno. Soprattutto quando capisci che, per quanto tu possa lavorare, per quanto ti spremano, sarai molto spesso pagata meno, considerata meno. Anche fastidiosa, quando cercherai di dire la tua. Perché "quello è omo!", come dice a Delia un suo datore di lavoro, quando gli chiede spiegazioni sulla differenza di compenso. Nonostante le donne come lei, madri, nonne e sorelle, siano le fondamenta su cui si basa la società, la nostra incrollabile cultura patriarcale - magari ora in modo meno sfacciato - dice sempre loro "e ringraziate che vi facciamo esistere".
È evidente quando il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), nonostante si presenti come un ragazzo dolce e innamorato, ripete presto schemi già visti: possesso, violenza, prevaricazione. Ecco perché il film di Paola Cortellesi ha una forza che serve come non mai, soprattutto oggi, quando pensiamo che la società abbia fatto grandi passi in avanti e invece orrendi fatti di cronaca ci smentiscono quasi quotidianamente. L'utilizzo di canzoni moderne in un film ambientato quasi 80 anni fa non è quindi casuale: storie come questa possono sembrarci lontane, invece accadono quotidianamente, anche nel "civile" 2023. Dare per scontati diritti come quello di voto, al divorzio e all'aborto, conquistati, se ci pensiamo, praticamente ieri, è un pericolo insidioso. Non bisogna abbassare la guardia.
Cortellesi non lo fa di certo e ha la grande intelligenza di rendere anche istruttivo il proprio film, senza però mai fare la morale, la lezione o uno "spiegone-manifesto". Nonostante la pesantezza del tema, C'è ancora domani è infatti un film molto divertente - grazie a quell'ironia popolare e acutissima di Cortellesi, spalleggiata qui in modo stupendo da Emanuela Fanelli, che ha il ruolo di Marisa, migliore amica della protagonista -, dal ritmo incalzante, che, anzi, ha proprio come cifra stilistica quella di smorzare e dissacrare ogni climax emotivo, che sia positivo o negativo. Ecco quindi che l'ennesima scarica di colpi diventa un ballo in cui i lividi spariscono, o una scena d'amore viene "sporcata" da della cioccolata rimasta tra i denti.