Nel gergo camorristico “paranza” significa gruppo criminale. Ma il termine ha origini marinaresche e indica le piccole imbarcazioni per la pesca che, in coppia, tirano le reti nei fondali bassi, dove si tirano su pesci piccoli, quelli buoni per la frittura di paranza. L’espressione “paranza dei bambini” indica la batteria di fuoco, ma restituisce anche con una certa fedeltà l’immagine di pesci talmente piccoli da poter essere cucinati solo fritti. Cotti e mangiati all’stante: proprio come questi ragazzini.
«L’infanzia è una malattia – un malanno – da cui si guarisce crescendo», diceva William Golding, l’autore de Il signore delle mosche. Così come nel suo romanzo, i protagonisti de La paranza dei bambini creano una loro comunità, con le loro regole, una comunità in cui “la malattia dell’infanzia” è stata guarita con la perdita dell’innocenza, con l’idea che la violenza e la sopraffazione siano l’unica via possibile per crescere. Per trovare un posto nel mondo.
«Sono partito dalla frase di William Golding, – spiega Mario Gelardi, autore e regista dello spettacolo – è stata la mia guida nella stesura della drammaturgia tratta dal libro di Saviano. Con Carlo Caracciolo, che ha collaborato alla regia, ci siamo posti una meta importante, creare un nuovo immaginario, abbattendo i luoghi comuni che ormai sono radicanti quando si racconta la camorra. La necessità era quella di andare oltre Gomorra, che pure è stato il punto di partenza di tutto questo. Per me è stata la spinta propulsiva che ha condotto la mia vita probabilmente fino alla fondazione del Nuovo Teatro Sanità, che resta un segno tangibile e visibile che la cultura può cambiare le cose.
Il nuovo romanzo di Roberto è riuscito a superare Gomorra grazie alla creazione di un nuovo linguaggio e uno stile totalmente diverso. Sono passati 10 anni e l’immaginario è cambiato. Tutto questo nel suo nuovo libro si percepisce chiaramente.
Noi abbiamo trovato ispirazione in alcune graphic novel, in particolare in quelle dell’autore Frank Miller. Le anime nere del suo Sin city ci hanno decisamente guidato. Ma non solo, Miller ha ridisegnato anche l’immaginario del Marvel dei supereroi, insieme ad Alan Moore, trasformando in atmosfere cupe ed adulte lo sfavillante mondo dei supereroi tipico delle origini. Ne La paranza dei bambini però non ci sono eroi, vite condivisibili a cui aspirare, qui ci sono solo i Villains, i cattivi dei fumetti, perché non c’è alcuna assoluzione per i bambini di questa paranza»
Sono giovani allo stato brado, una tribù, animali in cattività. I loro segni sono vistosi tatuaggi sul corpo, barbe lunghe, rapporti freddi. Sono chirurgici. Nessuno di loro può dirsi salvo, non per destino, ma per consapevole scelta di vita.
La tragedia in questa storia, resta rintanata negli angoli bui delle coscienze dei protagonisti, sempre pronta a togliere la luce e piombare nelle vite dei nostri protagonisti, incombe come il nero nelle tragedie scespiriane, ma anche come il nero infinito dei fumetti di Frank Miller: «Io per diventare bambino c’ho messo dieci anni, per spararti in faccia ci metto un secondo»


 

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